I cambiamenti dopo una settimana di terapia

Il cervello presenta cambiamenti già dopo una settimana di terapia

L'articolo è scritto da ANN J. CURLEY (CNN Medical Assignment Manager)

Soltanto una settimana di terapia intensiva della parola può ridurre la balbuzie e produrre cambiamenti nella produzione verbale, processo legato alla riorganizzazione nelle aree del cervello associate alla balbuzie. È quanto dimostra uno studio condotto attraverso tecniche di imaging presso la Beijing Normal University dal prof. Chunming Lu (2012). 

Importante la precisazione della Stuttering foundation of America nelle parole della sua presidente Jane Fraser:  “Una settimana di terapia può portare cambiamenti ma la strada da seguire è quella di perseverare. Per noi avrà valore il miglioramento  raggiunto dopo tre mesi dall’inizio della terapia. La cosa davvero interessante è che questo dimostra che con la terapia si hanno veri e propri cambiamenti nella nostra struttura cerebrale”. 

La terapia oggetto del suddetto studio comprendeva tre sessioni al giorno e ai soggetti era richiesto di trasferire le abilità acquisite al di fuori della terapia formale. 

Sono state registrate immagini del cervello di tutti i soggetti prima che lo studio cominciasse e dopo una settimana che è stata sperimentata la terapia intensiva.

La risonanza magnetica (MRI) misura la densità della  corteccia cerebrale, area del cervello nota per la sua enorme influenza nella produzione verbale. La risonanza inoltre monitora le interazioni tra le aree del cervello mentre i soggetti si trovano in uno stato di riposo, noto come lo stato di riposo della connettività funzionale. 

Si è osservato anche che i livelli di interazioni nei soggetti con balbuzie erano comparabili con quelle dei soggetti non balbuzienti monitorati (gruppo di controllo). Risultavano ridotte anche la densità e la forza delle interazioni in un’area chiamata la pars opercularis, importante per il linguaggio e la produzione verbale.

L’autore dello studio spiega: “ Si è visto che nelle persone con balbuzie la struttura della pars opercularis è alterata. E tuttavia i risultati mostrano anche che il cervello è in grado di riorganizzarsi con la terapia. Questi cambiamenti sono dovuti a meccanismi di compensazione da parte della persona con balbuzie”.

Un altro aspetto significativo dello studio, secondo il neurologo Dr. Jeffrey Buchhalter, membro dell’American Academy of Neurology, è che esso dimostra il successo dell’uso dei biomarker (marcatori biologici) per la diagnosi e il monitoraggio medico attraverso immagini (tecniche di imaging): “Questo studio evidenzia la possibilità e l’efficacia di un test che controlla gli interventi che vengono effettuati. Ciò permette non soltanto di avere la prova che la terapia funziona, ma anche di poterlo dimostrare in ogni momento”. 

Sia Buchhalter che Fraser hanno rimarcato l’importanza di avere studi a lungo termine soprattutto sul cervello (NEUROSCIENZE) che mostrino se e come gli effetti di una terapia si mantengano. Fraser ha sottolineato che le terapie che hanno un maggior successo per il superamento del problema sono legate ad un lavoro costante e continuativo. 

La chiave di volta è mantenere questi cambiamenti in modo che la balbuzie non si ripresenti.